La pecora nera anche da giovane era stata un tipo originale. Non si sa se per il suo colore o per qualche altro motivo, ma era solita perdersi in riflessioni. Spesso le altre pecore la vedevano bloccarsi nel brucare e perdersi nel vuoto, dimenticando di deglutire. Era uno dei suoi momenti di elaborazione, aveva avuto una delle sue illuminazioni. «Perché la pecora è un animale adatto ad essere allevato?» pensò un giorno d’autunno, sentendo il vento più freddo del solito farsi strada nonostante il mantello fosse ricresciuto. Non poté fare a meno di tenere questi pensieri per sé e li espresse ad alta voce mentre il cane bianco la guardava stringendo gli occhi, domandandosi perché quella pecora gli piaceva ancora meno delle altre.
«Siamo animali pacifici – disse ad alta voce, provocando lo spostamento di lato della pecora più vicina a lei – produciamo latte, diamo alla vita gli agnellini. Ed un altro motivo è che la pecora può essere tosata e se ne ricava la lana».
«Un motivo per cosa?» si lasciò sfuggire la pecora spaventata, ma, subito, se ne pentì, mentre le altre compagne sollevavano gli occhi al cielo, preparandosi al sermone.
«Dicono che, una volta tosata, la pecora sia grata ai pastori che l’hanno alleggerita di un peso da portare per tutta l’estate. Ma i pastori sanno bene che, se continuassero a tosare le pecore anche d’autunno, oltre ad accumulare poca lana rischierebbero di vedersele morire tutte d’inverno. Anche per le pecore, insomma, c’è un limite da non superare. E l’uomo ha imparato a gestire le sue risorse perché gli fruttassero. D’altronde, quale pastore è così sprovveduto da lasciare che il proprio gregge deperisca? Avrebbe meno latte, meno carne, meno lana. Certo, metti il caso un pastore si dimentichi le elementari regole dell’allevamento quali difese potrebbe mettere in atto una pecora?».
Si levò un generale brusio di protesta, mentre gli agnellini alzavano preoccupati le orecchie e prestavano una maggiore attenzione.
«Noi pecore amiamo lamentarci – continuò la pecora nera – sembra che nel continuo belare troviamo una sorta di conforto. Probabilmente, se ci tosassero anche ad ottobre inoltrato, esprimeremmo fortemente la nostra disapprovazione e questo ci terrebbe occupate un bel po’. Intanto, però, arriverebbero i primi freddi e il nostro istinto sarebbe quello di stringerci l’una all’altra e di mettere i piccoli in mezzo al gregge, dove c’è più caldo. Ma sarà solo una questione di tempo perché le pecore ai margini cadranno e il vento aggredirà le altre. Certo, mi chiedo quale sarebbe il vantaggio per un pastore simile e se questo potrebbe bastare a far sì che noi pecore trovassimo la forza per ricordare l’istinto di sopravvivenza che ci teneva unite prima di essere catturate dall’uomo e allevate per migliaia e migliaia di anni».
A questo punto sembrò farsi strada un ricordo primario, un brandello di orgoglio in uno o due elementi del gregge, ma subito svanì, sommerso dai generali rimproveri a bassa voce e ai sonori scuotimenti di testa. «Un branco di animali così indebolito sarebbe in ogni caso una preda ancora più facile, avremmo dovuto pensare a qualcosa quando ci fossimo accorte di essere state tosate oltre misura o appena vedevamo le prime pecore perdere quella poca lana che avevano messo su d’estate. Ma non è nella natura della pecora mettere in discussione le decisioni dei pastori che, in ogni caso, hanno un interesse a mantenere il gregge in buona salute. E se per qualche motivo non gli interessasse più? Se il pastore pensasse di dover ricavare il più possibile dal suo gregge? Magari si è stancato di fare il pastore, crede che tante pecore non gli servano più, l’erba è finita, non lo so. Quale alternativa rimane a noi pecore? ».
Queste ed altre paure aveva la pecora nera, ma la sua paura più grande era la natura, la natura della pecora. E infatti fu sommersa da sonori rimproveri: «in nessun caso un pastore potrebbe abbandonare il gregge al suo destino, a memoria di pecora non si era mai sentita un’assurdità simile!». Se pure le sue compagne avessero compreso il paradosso di una tale situazione cosa avrebbero potuto fare se non abbassare di nuovo la testa e continuare a brucare? Questi ed altri pensieri le venivano in mente, ma non la aiutavano certo ad acquisire la serena rassegnazione del gregge che la circondava. E contava le pecore, le immaginava oltrepassare il recinto e solo così si calmava. E aspettava, aspettava un miracolo perché sapeva bene che l’unica rivoluzione della pecora, quella che la natura le concede, è il salto.
«Siamo animali pacifici – disse ad alta voce, provocando lo spostamento di lato della pecora più vicina a lei – produciamo latte, diamo alla vita gli agnellini. Ed un altro motivo è che la pecora può essere tosata e se ne ricava la lana».
«Un motivo per cosa?» si lasciò sfuggire la pecora spaventata, ma, subito, se ne pentì, mentre le altre compagne sollevavano gli occhi al cielo, preparandosi al sermone.
«Dicono che, una volta tosata, la pecora sia grata ai pastori che l’hanno alleggerita di un peso da portare per tutta l’estate. Ma i pastori sanno bene che, se continuassero a tosare le pecore anche d’autunno, oltre ad accumulare poca lana rischierebbero di vedersele morire tutte d’inverno. Anche per le pecore, insomma, c’è un limite da non superare. E l’uomo ha imparato a gestire le sue risorse perché gli fruttassero. D’altronde, quale pastore è così sprovveduto da lasciare che il proprio gregge deperisca? Avrebbe meno latte, meno carne, meno lana. Certo, metti il caso un pastore si dimentichi le elementari regole dell’allevamento quali difese potrebbe mettere in atto una pecora?».
Si levò un generale brusio di protesta, mentre gli agnellini alzavano preoccupati le orecchie e prestavano una maggiore attenzione.
«Noi pecore amiamo lamentarci – continuò la pecora nera – sembra che nel continuo belare troviamo una sorta di conforto. Probabilmente, se ci tosassero anche ad ottobre inoltrato, esprimeremmo fortemente la nostra disapprovazione e questo ci terrebbe occupate un bel po’. Intanto, però, arriverebbero i primi freddi e il nostro istinto sarebbe quello di stringerci l’una all’altra e di mettere i piccoli in mezzo al gregge, dove c’è più caldo. Ma sarà solo una questione di tempo perché le pecore ai margini cadranno e il vento aggredirà le altre. Certo, mi chiedo quale sarebbe il vantaggio per un pastore simile e se questo potrebbe bastare a far sì che noi pecore trovassimo la forza per ricordare l’istinto di sopravvivenza che ci teneva unite prima di essere catturate dall’uomo e allevate per migliaia e migliaia di anni».
A questo punto sembrò farsi strada un ricordo primario, un brandello di orgoglio in uno o due elementi del gregge, ma subito svanì, sommerso dai generali rimproveri a bassa voce e ai sonori scuotimenti di testa. «Un branco di animali così indebolito sarebbe in ogni caso una preda ancora più facile, avremmo dovuto pensare a qualcosa quando ci fossimo accorte di essere state tosate oltre misura o appena vedevamo le prime pecore perdere quella poca lana che avevano messo su d’estate. Ma non è nella natura della pecora mettere in discussione le decisioni dei pastori che, in ogni caso, hanno un interesse a mantenere il gregge in buona salute. E se per qualche motivo non gli interessasse più? Se il pastore pensasse di dover ricavare il più possibile dal suo gregge? Magari si è stancato di fare il pastore, crede che tante pecore non gli servano più, l’erba è finita, non lo so. Quale alternativa rimane a noi pecore? ».
Queste ed altre paure aveva la pecora nera, ma la sua paura più grande era la natura, la natura della pecora. E infatti fu sommersa da sonori rimproveri: «in nessun caso un pastore potrebbe abbandonare il gregge al suo destino, a memoria di pecora non si era mai sentita un’assurdità simile!». Se pure le sue compagne avessero compreso il paradosso di una tale situazione cosa avrebbero potuto fare se non abbassare di nuovo la testa e continuare a brucare? Questi ed altri pensieri le venivano in mente, ma non la aiutavano certo ad acquisire la serena rassegnazione del gregge che la circondava. E contava le pecore, le immaginava oltrepassare il recinto e solo così si calmava. E aspettava, aspettava un miracolo perché sapeva bene che l’unica rivoluzione della pecora, quella che la natura le concede, è il salto.
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NOTE
Il Quaderno “La Rivolta delle Pecore. Storie libertarie di animali rivoluzionari” è edito da Edizioni il Papavero http://edizioniilpapavero.it/. Prefazione di Antonello Petrillo, sociologo e autore di Biopolitica di un rifiiuto
Virginiano Spiniello, l’autore, è un docente di sostegno e scienze umane, già project manager, giornalista territoriale, blogger, professore a contratto fino al 2015 di marketing ecologico e comunicazione ambientale presso l’Università Suor Orsola Benincasa, presidente de L’Albero Vagabondo®, www.alberovagabondo.it, bioagricoltore e armonicista blues. Suo padre, Giovanni Spiniello, incisore, scultore e pittore (Biennale di Venezia 1968, Quadriennale di Roma 1975, Segnalato Bolaffi da Crispolti nel 1978, www.giovannispiniello.it) è l’autore delle illustrazioni. Insieme portano avanti dal 2008 le Feste del Colore dell’Albero Vagabondo©, esperimento di arte nel sociale ed ambientale: i bambini inviano all’Albero favole e disegni e installano tavolette colorate sulle discariche abusive in montagna, per salvare le sorgenti. Qui, sull’Appennino meridionale, è nata l’idea della Rivolta delle Pecore.In accordo con le Edizioni Il Papavero, dopo aver diffuso gratuitamente on line il progetto a partire dal 2011, è possibile, ancora, continuare a leggere La rivolta delle pecore e Riflessioni di una pecora nera: la tosatura liberamente on line. Questo per diffondere il progetto evolutivo dell’associazione senza scopo di lucro l’Albero vagabondo che si affida anche alla Rivolta delle pecore per continuare a il suo viaggio. Saranno sempre i bimbi ad educare i grandi a rispettare le montagne.La rivolta delle pecore. Autore Virginiano Spiniello.
Il Quaderno “La Rivolta delle Pecore. Storie libertarie di animali rivoluzionari” è edito da Edizioni il Papavero http://edizioniilpapavero.it/. Prefazione di Antonello Petrillo, sociologo e autore di Biopolitica di un rifiiuto
Virginiano Spiniello, l’autore, è un docente di sostegno e scienze umane, già project manager, giornalista territoriale, blogger, professore a contratto fino al 2015 di marketing ecologico e comunicazione ambientale presso l’Università Suor Orsola Benincasa, presidente de L’Albero Vagabondo®, www.alberovagabondo.it, bioagricoltore e armonicista blues. Suo padre, Giovanni Spiniello, incisore, scultore e pittore (Biennale di Venezia 1968, Quadriennale di Roma 1975, Segnalato Bolaffi da Crispolti nel 1978, www.giovannispiniello.it) è l’autore delle illustrazioni. Insieme portano avanti dal 2008 le Feste del Colore dell’Albero Vagabondo©, esperimento di arte nel sociale ed ambientale: i bambini inviano all’Albero favole e disegni e installano tavolette colorate sulle discariche abusive in montagna, per salvare le sorgenti. Qui, sull’Appennino meridionale, è nata l’idea della Rivolta delle Pecore.In accordo con le Edizioni Il Papavero, dopo aver diffuso gratuitamente on line il progetto a partire dal 2011, è possibile, ancora, continuare a leggere La rivolta delle pecore e Riflessioni di una pecora nera: la tosatura liberamente on line. Questo per diffondere il progetto evolutivo dell’associazione senza scopo di lucro l’Albero vagabondo che si affida anche alla Rivolta delle pecore per continuare a il suo viaggio. Saranno sempre i bimbi ad educare i grandi a rispettare le montagne.La rivolta delle pecore. Autore Virginiano Spiniello.