
La funzione dell’arte nel sociale, dell’arte come strumento collettivo non solo di denuncia, ma anche di spazio di costruzione comunitaria è una strada che Giovanni Spiniello persegue dagli anni ’60 e che ha scelto di percorrere coniugando sperimentazione e tradizione e accostando le favole e il mondo contadino della sua Irpinia ai temi della denuncia sociale e ambientale. «Tanto tempo fa – racconta l’artista – un re aveva quattro figli e il più piccolo era considerato il bonaccione della famiglia, Michele, ma era anche il più gentile d’animo. Il padre prima di morire chiamò i figli e disse: “chi mi porterà la piuma d’oro dell’uccello pavone sarà quello che avrà il mio regno quando sarò morto”. Per cui i figli partirono e si addentrarono in un bosco e ognuno prese la propria strada con l’intento poi di ritrovarsi nello stesso luogo. Fu Michele a trovare l’uccello pavone e a staccargli la piuma d’oro. Quando si presentò all’appuntamento i fratelli decisero, con un solo sguardo, di ucciderlo e di nasconderne il cadavere. I tre principi portarono al padre la piuma d’oro e il mantello insanguinato del fratello accusando i lupi dell’omicidio. Il re non poté fare altro che affidare il regno ai suoi tre figli e si chiuse in un silenzio che durò anni e anni. Un giorno, mentre era a caccia con i principi e tutta la corte, il cane del figlio ucciso trovò un osso e lo portò al padre. Era l’osso di Michele che incominciò a parlare e disse: “Pe na penna r’auciello pavone fratito è stato lo traditore”. E’ una vecchia favola, ma è ancora attuale, perché parla dell’avidità e dell’inconsistenza del desiderio per chi subisce il fascino dei beni materiali» . “L’uccello pavone racconta: la terra è stanca” è un titolo che si interroga sul tradimento dell’amore fraterno in chiave onirica e mantiene su un piano separato, distaccato, attraverso favola e gioco, il dolore e la sofferenza. Ma è anche l’interpretazione dell’ultimo ciclo “la terra è stanca” che evidenzia la terra abusata, diserbata, maltrattata e, quindi, tradita, anch’essa, dall’amore dell’uomo attraverso sperimentazioni materiche e incontri di colore al limite del barocco. Il tradimento dei sogni, delle speranze, del quotidiano è lo stesso tradimento che subisce l’uomo comune che accusa la mancanza e l’assenza di amore, di dolcezza, del sentimento comunitario e di appartenenza; riflette un momento di trasformazione in cui la società si sgancia dai singoli abbandonandoli al proprio destino. In questo vuoto esistenziale e di valori, l’artista si inserisce con una speranza di cambiamento, il momento dell’accoglienza dell’installazione e l’adesione convinta alle tappe di preparazione per la Giornata del Silenzio dell’Irisbus sono l’attimo più significativo in cui le favole prendono vita e l’uccello pavone sussurra a chi è seduto in alto che si tradiscono i fratelli, si tradiscono i lavoratori, si tradisce la terra.
La favola dell’uccello pavone racconta: la terra è stanca
Ecco una bella variante di Francesco Buccino, da facebook. “A Bagnoli, dal racconto di mio nonno, rimembrando c’è la seguente variante: è un “porcaro” a ritrovare l’osso e ne fa un flauto da cui la cantilena “caro porcaro ca’ mocca m’tieni, tien’m strittu e nun’m lassà… Aggiu truato la penna r’uccello pavon’, i miei fratelli traditor, uno m’teneva e l’ato m’accireva”. La favola finisce che il padre disereda i figli e fa sposare la figlia col “porcaro””.