Riprendo la penna per descrivere una mia teoria di marketing ecologico che non è antimarketing, così denominandola sarei poco lucido nella mia disamina successiva.
E’ bene, invece, iniziare a porre le condizioni di possibilità di un marketing ecologico in un contesto storico in cui il marketing viene sempre e comunque proposto come modalità vincente nel confrontarsi ai cambiamenti di scenario attuali ai quali siamo sottoposti, che subiamo, troppo spesso, inconsapevolmente.Cambiamenti di scenario che vedono il susseguirsi di mutamenti a livello ambientale, socioeconomico, giuridico, solo per citare gli ambiti di evidenza massima. In questi cambiamenti di scenario l’uomo comune agisce sotto l’influsso di una entropia comunicativa non si sa fino a che punto programmata o caotica. Fatto sta che tale fluire di correnti catodiche, analogiche, digitali pervade il ‘900 e i primi anni “00 fino all’arrivo di internet, massima espressione pervasiva.
P. K. Dick, uno scrittore di fantascienza largamente saccheggiato dal cinema – pensiamo a “Blade runner”, ma anche al più recente “Minority report” – ha sempre tessuto una linea sottile di critica sul confine tra privato e pubblico e sulle dinamiche che la Pubblicità – con la P maiuscola – ha accolto ecclesiasticamente, fino a mutuare valori iconici di cui spesso si fa trasduttore inconsapevolmente. Tale trasduzione – anche cinematografica e musicale – è causata dalla snellezza gerarchica delle tecnostrutture delle agenzie di comunicazione attuali, il cui valore precipuo è la precarietà del lavoro intellettuale che stimola alla continua vampirizzazione di giovani generazioni di stagisti per fondare immaginari collettivi transfrontalieri ad uso e consumo di bisogni indotti.
Dunque, il primo componente da analizzare, prima di iniziare a settorializzare i contesti applicativi di un futuribile marketing ecologico, è il frame comunicativo nel quale l’azione di marketing ecologico va a inserirsi, omeostaticamente e non contro la società in cui si inserisce. Dinamiche, quelle contrarie, che hanno già mostrato le pervadenti e pervicaci logiche di controreazione a catena: trattasi di azioni e reazioni che non possiamo permetterci in un epoca in cui l’obiettivo di salvaguardia energetica dovrebbe essere quello di mantenere in vita – possibilmente – un complesso di equilibri sottili che generino risultanze e non complicanze.
Dopo questa necessaria premessa sull’entropia – che può e deve essere ampliata in spazi diversi da questo – è utile passare al campo di gioco su cui scivoliamo insistentemente. Questo campo di gioco si chiama rapporto dialettico Uomo – Natura. E’ un rapporto messo in crisi daCartesio nella sua cristallizzazione forse involontaria nelle sue finalizzazioni e formalizzazioni della burocratizzazione occidentale che ha finito per creare quell’homo burocraticus così ben analizzato da Weber. L’occidente è procedura, ma procedura senza presenza mentale. Ha esportato un modello capitalistico a cui il capitalismo post marxista di Cina e Russia ha aderito per far sopravvivere e perpetuare le elite. Ma non sono quelle elite che Pareto avrebbe definito utili, si tratta di elite che si muovono in base a schemi cristallizzati e non tengono conto che siamo, adesso, ad un punto di svolta, come direbbe il fisico F. Capra.
E’ qui, in questo punto di svolta, che la proceduralizzazione occidentale può aiutare o definitivamente sopprimere le speranze di una umanità sofferente, in costante declino valoriale. E per valori non intendo tanto quelli religiosi, che dovrebbero essere precipuamente individuali e non socializzanti, ma le basi del
vivere umano – che poi, non a caso, si ritrovano in tutte le etiche, morali e religioni. Basi di rispetto, appartenenza al territorio, autodisciplina, ottimizzazione delle risorse. Sono queste le basi che io credo siano necessarie per iniziare a proceduralizzare delle tecniche strategiche di marketing ecologico. Ma questa è un’altra storia…
E’ bene, invece, iniziare a porre le condizioni di possibilità di un marketing ecologico in un contesto storico in cui il marketing viene sempre e comunque proposto come modalità vincente nel confrontarsi ai cambiamenti di scenario attuali ai quali siamo sottoposti, che subiamo, troppo spesso, inconsapevolmente.Cambiamenti di scenario che vedono il susseguirsi di mutamenti a livello ambientale, socioeconomico, giuridico, solo per citare gli ambiti di evidenza massima. In questi cambiamenti di scenario l’uomo comune agisce sotto l’influsso di una entropia comunicativa non si sa fino a che punto programmata o caotica. Fatto sta che tale fluire di correnti catodiche, analogiche, digitali pervade il ‘900 e i primi anni “00 fino all’arrivo di internet, massima espressione pervasiva.
P. K. Dick, uno scrittore di fantascienza largamente saccheggiato dal cinema – pensiamo a “Blade runner”, ma anche al più recente “Minority report” – ha sempre tessuto una linea sottile di critica sul confine tra privato e pubblico e sulle dinamiche che la Pubblicità – con la P maiuscola – ha accolto ecclesiasticamente, fino a mutuare valori iconici di cui spesso si fa trasduttore inconsapevolmente. Tale trasduzione – anche cinematografica e musicale – è causata dalla snellezza gerarchica delle tecnostrutture delle agenzie di comunicazione attuali, il cui valore precipuo è la precarietà del lavoro intellettuale che stimola alla continua vampirizzazione di giovani generazioni di stagisti per fondare immaginari collettivi transfrontalieri ad uso e consumo di bisogni indotti.
Dunque, il primo componente da analizzare, prima di iniziare a settorializzare i contesti applicativi di un futuribile marketing ecologico, è il frame comunicativo nel quale l’azione di marketing ecologico va a inserirsi, omeostaticamente e non contro la società in cui si inserisce. Dinamiche, quelle contrarie, che hanno già mostrato le pervadenti e pervicaci logiche di controreazione a catena: trattasi di azioni e reazioni che non possiamo permetterci in un epoca in cui l’obiettivo di salvaguardia energetica dovrebbe essere quello di mantenere in vita – possibilmente – un complesso di equilibri sottili che generino risultanze e non complicanze.
Dopo questa necessaria premessa sull’entropia – che può e deve essere ampliata in spazi diversi da questo – è utile passare al campo di gioco su cui scivoliamo insistentemente. Questo campo di gioco si chiama rapporto dialettico Uomo – Natura. E’ un rapporto messo in crisi daCartesio nella sua cristallizzazione forse involontaria nelle sue finalizzazioni e formalizzazioni della burocratizzazione occidentale che ha finito per creare quell’homo burocraticus così ben analizzato da Weber. L’occidente è procedura, ma procedura senza presenza mentale. Ha esportato un modello capitalistico a cui il capitalismo post marxista di Cina e Russia ha aderito per far sopravvivere e perpetuare le elite. Ma non sono quelle elite che Pareto avrebbe definito utili, si tratta di elite che si muovono in base a schemi cristallizzati e non tengono conto che siamo, adesso, ad un punto di svolta, come direbbe il fisico F. Capra.
E’ qui, in questo punto di svolta, che la proceduralizzazione occidentale può aiutare o definitivamente sopprimere le speranze di una umanità sofferente, in costante declino valoriale. E per valori non intendo tanto quelli religiosi, che dovrebbero essere precipuamente individuali e non socializzanti, ma le basi del
vivere umano – che poi, non a caso, si ritrovano in tutte le etiche, morali e religioni. Basi di rispetto, appartenenza al territorio, autodisciplina, ottimizzazione delle risorse. Sono queste le basi che io credo siano necessarie per iniziare a proceduralizzare delle tecniche strategiche di marketing ecologico. Ma questa è un’altra storia…
Fonte Il Ponte news 9 aprile. Copyright Associazione culturale Giovanni Spiniello 2012, Sezione Marketing ecologico di www.alberovagabondo.it. Autore Nino Spiniello
Ciao, a parte la premessa, direi un po’ troppo tecnica, concordo sulle “basi del vivere umano: rispetto, appartenenza al territorio, autodisciplina, ottimizzazione delle risorse.”
Invece mi trovo speranzoso sul punto di svolta, mi auguro che sia posta in atto una proceduralizzazione occidentale che inverta il verso del declino per non trasformare il punto di svolta, in punto di non ritorno.
Personalmente non me ne intendo di marketing con le sue burocratizzazioni, comprese quelle ecologiche, perdonatemi in anticipo se scrivo delle cavolate, ma a questo punto giocherei la tanto criticata carta del “globale”, mi spiego:
ok col marketing ecologico e capitalismo, ripristinare un’area rurale abbandonata in cambio di guadagni leciti, invece di lasciarla arida a pattumiera… ma a monte, proprio in alto, ci vorrebbe un’organizzazione mondiale di controllo, in grado di “controllare” in continuazione ogni angoletto della terra, e soprattutto in grado di intervenire, se necessario anche con la forza, dove si oltrepassano i limiti, indipendentemente dal continente in cui ci si trova… A partire dagli scempi di foreste rase al suolo in Amazzonia, per finire in Italia con gli eco-mostri sparsi qua e là, e le centinaia di villette (non una, due, dieci…) a trenta km da dove scrivo, costruite nella sabbia della pineta a due passi dal mare…
Saluti!
Mi va bene il globale, però io credo che è nella gestione stessa del valore, di cosa si parametrizza come valore, che questo mondo non va. Abbiamo centinaia di satelliti che vedono benissimo quello che succede. Basti pensare a come incastrano chi si fa una capanna di lamiera per fargli pagare le tasse. No, credo che l’autocontrollo sia preferibile al controllo esterno e questo perchè la gestione dei flussi di potere prevede compromessi al ribasso. Ma non vorrei parlare politicamente. Una cosa che sembra scontata e vorrei condividere è che il valore si genera dalla riduzione degli sprechi.
io propenderei per una diffusione di comportamenti, ma il discorso si fa onirico. Ciao Bosco e grazie per non lasciarmi mai solo nelle mie sproloquiaggini!!!