Geoingegneria. L’uomo politico non si mobilita? Ecco il piano B

L’epoca recente è stata segnata da scoperte sempre più sorprendenti ed il progresso tecnologico sembra infinito. Tuttavia si è pensato troppo al progresso. Troppo poco si è riflettuto sulle conseguenze della nostra presenza, sempre più pesante, su questo pianeta ed ora, tra il cambiamento climatico ed il buco dell’ozono, stiamo vivendo un’emergenza epocale: la progressiva e repentina mancanza di risorse idriche. I suoi effetti sono paradossalmente meno visibili a Paesi che consumano quantità sterminate di acqua e si sono già scatenati su aree povere, come nel Corno d’Africa. Recentemente si è iniziato a parlare di piani strategici per cercare di ridurre l’effetto serra ma, dalle riunioni fatte, è sempre emersa la totale mancanza di idee. Idee che, però, sono alla base di una mostra che si tiene presso il London Science Museum, denominata “Water Wars”, dove vengono esposti progetti tecnologici per salvaguardare il pianeta dall’effetto serra (da Repubblica.it 23 settembre). Tra questi spiccano progetti che sembrano molto interessanti, come quello studiato dall’Architetto cileno Alberto Fernandez e dal designer Susana Ortega, riguardante la costruzione di una torre rivestita da particolari tessuti in grado di assorbire il vapore acqueo delle nuvole a bassa quota riempiendo un serbatoio per aumentare le scorte d’acqua del Cile. Simile è l’idea dell’Ingegnere Charlie Paton, il quale ha progettato delle serre da impiantare in zone desertiche che sono in grado di trattenere l’acqua piovana che normalmente evapora a causa del clima arido. Acqua che viene poi desalinizzata ed utilizzata nella coltivazione di piante ed ortaggi.
Pezzo forte della mostra è, però, il progetto definito MDC (Microbial Desalination Cell), progettato da Bruce Logan. Si tratta di contenitori contenenti batteri alimentati con particolari sostanze che, nel metabolizzare queste ultime, producono particelle positive che attirano il sodio ed il cloro contenuti nell’acqua, desalinizzandola. Il problema del progetto è il costo dell’alimentazione del batteri, ma si spera di poter abbatterlo sostituendola con le acque reflue delle fognature. Questi progetti aprono la strada al settore della geo-ingegneria, che è definito da Wikipedia come “l’applicazione di tecniche artificiali di intervento umano sull’ambiente fisico” per “modificare a piacimento l’equilibrio di un sistema fisico, prevenire situazioni di rischio per la popolazione di un certo territorio od ottenere la salvaguardia di un ecosistema a rischio”. Sono progetti che non hanno ancora una realizzazione concreta o su larga scala ma che, nella speranza che i Paesi prendano un accordo comune, potrebbero risultare un’ottima manovra di ripiegamento. Un vero e proprio piano B. Interessante su questo fronte potrebbe essere anche il progetto di “vulcano artificiale” studiato dagli scienziati di Oxford e Cambridge con il sostegno della Royal Society (da rinnovabili.it, il 15 settembre). Si tratta di una specie di mongolfiera delle dimensioni di uno stadio di calcio che, lanciata nell’atmosfera ad un’altezza di 20 chilometri, rilascerà “centinaia di tonnellate di particelle di argilla, sali o ossidi metallici e acqua” attraverso un tubo collegato ad essa in modo da schermarci parzialmente dai raggi solari e ridurre la temperatura di qualche grado. Queste opere sono un segnale che, se l’uomo politico non si mobilita, l’uomo comune è pronto a farlo al suo posto.
Autore Davide Martone, Settimanale Il Ponte news, 8 ottobre.