Due delle dieci coppie di cicogna nera italiana vivono nell’Irpinia d’Oriente ed è qui che la Regione Campania ha già autorizzato 19 torri a Monteverde, 4 ad Aquilonia e, nella vicina Lacedonia, è stato presentato un progetto di ben 33 torri. Vincenzo Cripezzi, responsabile LIPU Pugliese, scruta le torri sui crinali e, da anni, continua la sua battaglia contro l’installazione di centrali eoliche nel nostro meridione nelle aree soggette a vincoli ambientali.Come Don Chisciotte si scontra contro giganti veri, inesorabili, che si moltiplicano nelle aree indifese del meridione.
La cicogna nera a differenza della bianca, che è molto diffusa e non teme le zone antropizzate, è molto rara, schiva e ha bisogno di un habitat più selvaggio, con zone molto pescose, ricche di nutrimento. Necessita di un territorio molto ampio e la presenza di rotori lungo i crinali sarebbe disastrosa, soprattutto in fase riproduttiva. E’ un indicatore della buona salute del territorio, un po’ come la lontra, ancora presente in quest’area. Oltre a due delle dieci coppie di Cicogna nera italiane, sono presenti Nibbio reale e Nibbio bruno, il falco Lanario, il più raro d’Italia e anche il Falco pellegrino, l’Averla piccola, il Biancone che rendono ancora più scandalosa la collocazione di queste gigantesche macchine industriali. Questa zona era un dormitorio per i nibbi che adesso da più di un centinaio sono diventati poche decine e, parallelamente, sono apparse centinaia e centinaia di pale eoliche.
Le questioni sono di diverso tipo: aree soggette a vincoli naturalistici, danni per l’avifauna, impatto e costo beneficio nullo se non sostenuto dagli incentivi. Si pensi che i vecchi impianti a volte non hanno nemmeno gli elettrodotti adatti a trasportare il surplus di energia generata dalle pale quando c’è molto vento. E il bello è che se il Gestore non riesce a immetterla in rete c’è un rimborso – pagato da noi utenti – per l’azienda proprietaria dell’impianto. Soffermiamoci un attimo sui lavori di scavo, la realizzazione delle strade in aperta campagna per permettere ai tir di arrivare ai piloni e installare i rotori, la costruzione di elettrodotti che stravolgono un paesaggio che sarà poi compromesso definitivamente dalle selve di turbine installate selvaggiamente.
La regione Campania si è svegliata dal profondo letargo, ma la montagna ha partorito il topolino. Invece di studiare ed elaborare una rigida vincolistica territoriale ha individuato sommariamente una generalizzata distanza di 800 metri delle nuove pale da realizzarsi rispetto a quelle esistenti o autorizzate. Questo esemplifica lo stato di “ostaggio” in cui il governo regionale si trova e per cui non ha saputo fare di più, esponendosi di fatto alle censure di carattere amministrativo rispetto alle linee guida nazionali. Il Governo, infatti, assurdamente non tenendo conto nemmeno della saturazione territoriale di aree gravemente compromesse come l’Irpinia (ma anche il Beneventano è già un disastro), ha impugnato la predetta legge dinanzi alla Corte Costituzionale, malgrado rappresentasse una misura tardiva e minimale per quanto rocambolesca.
E i nuovi progetti in Irpinia a che punto sono?
Diversi progetti nell’area irpina sono stati oggetto di sospensione delle conferenze di servizi, ufficialmente non sappiamo il motivo. Tuttavia diversi di questi ulteriori progetti erano stati oggetto di osservazioni e controdeduzioni da parte della LIPU ed altre associazioni. Intanto sul caso specifico dei progetti già approvati la Regione Campania non ci ha ancora risposto. E per una istituzione che si rispetti questo è quanto meno imbarazzante!
Se dovessi fare una analisi energetica delle fonti di energia rinnovabile, come sarebbe?
Impietosa. Anche il fotovoltaico avanza ma in maniera anch’esso non del tutto etica. Distese allucinanti di pannelli divorano le campagne nella deregolamentazione complessiva, in parte e tardivamente arginata solo dal recente decreto “Romani” che ha cancellato gli incentivi al nuovo fotovoltaico su suolo agricolo oltre 1 MW (2 ettari). In ogni caso l’avanzata del fotovoltaico ha superato la soglia di 8000 MW prevista al 2020 e anche la potenza eolica in esercizio (6000 MW a fine 2010). Il Governo ha cosi fatto lievitare le previsioni della soglia di potenza fotovoltaica da perseguire portandola a 23.000 MW già al 2016. L’energia derivante da questi 23.000 MW di potenza fotovoltaica permetterebbe, con 4 anni di anticipo sulle scadenze comunitarie del 2020, di compensare anche tutta l’energia dei 12.000 MW eolici previsti al 2020 dallo Stato (l’ANEV preme scandalosamente per imporre oltre 16.000!). Pertanto, rispetto agli obiettivi comunitari nel comparto elettrico già i 6000 MW eolici impunemente realizzati sono un surplus inutile, quindi ancor più la valanga eolica da realizzarsi (per altro in aree sempre meno produttive). Qualcuno obietterebbe “si ma che male c’è se andiamo oltre gli obiettivi, è pur sempre energia pulita…”. In realtà ciò si traduce in un grave danno alle strategie di decarbonizzazione dell’Italia poiché quelle risorse derivano dalle tariffe energetiche e quindi dalle bollette delle imprese e degli italiani con danno all’economia e con la spinta a delocalizzare le stesse produzioni energivore in paesi a bassi costi energetici a base di carbone. Quelle stesse risorse potrebbero essere più utilmente impegnate nella politica energetica a cominciare dai settori fortemente energivori come i trasporti, o nell’efficientamento energetico dei processi e degli edifici, o nelle rinnovabili termiche per il raffrescamento e riscaldamento. Tutti comparti dove siamo al palo, a differenza del comparto elettrico. E infine le risorse dovrebbero essere impegnate nella ricerca, assolutamente fondamentale e strategica perchè il contributo delle nuove rinnovabili non rimanga del tutto infinitesimo. Infatti il contributo sostanziale viene dalle rinnovabili tradizionali come idroelettrico e geotermico. A regime l’apporto di Eolico o Fotovoltaico sarà dell’ordine dell’1-2 % dell’energia complessiva e non potrà essere questo il futuro, per di più a fronte di un Paese devastato e consegnato agli speculatori.
E poi non è un belvedere, questo non dimentichiamocelo…
Insieme al castello di Monteverde, alle zone archeologiche di Aquilonia, anche gli animali avrebbero potuto essere monetizzati. Al nord fanno costosi programmi di reintroduzione, riescono a monetizzare tutto. Noi che abbiamo la lontra, il nibbio reale, la cicogna nera stiamo distruggendo il nostro paesaggio rurale. Qui si possono impunemente realizzare impianti eolici, fotovoltaico a terra, inceneritori, discariche, strade inutili, ma guai a parlare di storia, paesaggio, identità, in breve, guai a parlare di orgoglio e dignità, guai a parlare di vero cambiamento e di sviluppo sostenibile. A salvare il nostro territorio, a custodirlo con l’atteggiamento del “buon padre di famiglia” ci sarebbe tutto da guadagnare perché è l’unico valore produttivo che non sarà mai delocalizzabile in Cina o altrove. Ma questo politici e Amministratori sembrano non volerlo capire.
Autore Virginiano Spiniello, su Il Cambiamento del 4 ottobre.